
L’incontro delle Associazioni d’Arma a ricordo dei moti risorgimentali nel nostro territorio
Sabato 25 marzo 2023 una rappresentanza del Gruppo A.N.M.I. di Mestre guidata dal Presidente Roberto Martinelli ha partecipato all’evento organizzato dall’Associazione Lagunari Truppe Anfibie per ricordare il 175° anniversario dei moti che nel 1848 hanno aperto in Italia la stagione risorgimentale e portato all’instaurazione della Repubblica di San Marco nel nostro territorio.
L’evento, che ha visto la partecipazione di autorità civili e religiose e dei componenti di varie Associazioni d’Arma, si è svolto in quella che per noi mestrini rappresenta una località simbolo: Forte Marghera.

Fu da questa fortezza infatti che il 22 marzo 1848 – lo stesso giorno in cui la popolazione di Venezia rivoltandosi agli austriaci occupava l’Arsenale – i cittadini di Mestre cacciarono le truppe straniere.
E fu da Forte Marghera che il 27 ottobre 1848 partirono i rivoltosi per mettere a segno la cosiddetta “Sortita”, l’operazione militare che liberò temporaneamente Mestre dagli austriaci.


Forte Marghera resistette fino al 27 maggio 1849, quando i 2.500 patrioti provenienti da tutte le regioni italiane, che fino a quel momento avevano fatto fronte all’assedio di 30.000 austriaci, dovettero abbandonarlo per ritirarsi a Venezia.
La caduta di Forte Marghera costituì un duro colpo per la sopravvivenza della Repubblica di San Marco. Senza la presenza di questa linea di difesa in terraferma, infatti, le truppe austriache ebbero la possibilità di dispiegarsi sulla gronda lagunare, da cui poterono bombardare direttamente Venezia, fiaccandone in modo determinante la resistenza.
Fu così che pochi mesi dopo, il 22 agosto 1849, la città lagunare, stretta da terra e dal mare e messa in ginocchio da un’epidemia di colera che colpì la popolazione, si arrese.
Il principale protagonista di questa epopea fu Daniele Manin che, in veste di Presidente, gestì la Repubblica di San Marco con intelligenza, coraggio e fermezza fino alla fine.
Ma le vicende di Manin si intrecciano anche con Mestre, come testimonia una targa posta sulla casa dove abitò quando nella nostra città svolse la professione di avvocato.


Vogliamo onorare la sua figura pubblicando un raro documento che – considerato come sono andate le cose – si rivela di sicuro interesse e particolarmente toccante.
Si tratta di un volantino d’epoca che riporta quello che probabilmente fu l’ultimo discorso pubblico di Manin pronunciato pochi giorni prima di firmare la resa agli austriaci e di abbandonare per sempre Venezia per andare in esilio.
LE PRECISE PAROLE (Stenografate)
DI DANIELE MANIN
pronunciate subito dopo la parata della Guardia Civica, schierata nella Gran Piazza di San Marco la mattina del giorno 13 Agosto 1849.
Militi Cittadini!
Nella nostra rivoluzione, in questi ben 17 mesi, si mantenne puro quel nome di Venezia, già vilipeso ed ora venerato da amici e da nemici.
Il merito principale è dovuto allo zelo costante, infaticabile, vigilante della Milizia cittadina. – Un popolo che ha fatto e patito, quanto ha fatto e patito, e patisce il popolo nostro, non può perire. Deve venir giorno in cui gli splendidi destini sieno corrispondenti al merito di voi. – Quando verrà questo giorno? – Ciò sta in mano di Dio.
Noi abbiamo seminato: fruttificherà il bene seminato nel buon terreno. Sventure grandi potrebbero avvenire: sono forse imminenti; sventure nelle quali noi avremo il grande conforto di dire: vennero senza colpa nostra. Se in poter nostro non istesse allontanare queste sventure, è pur sempre in poter nostro mantenere intemerato l’onore di questa città. A voi spetta salvare questo patrimonio ai figli vostri, forse ad un tempo molto vicino, a voi spetta quest’opera grande, senza la quale tutto quello che fu fatto sarebbe perduto; senza la qual noi saressimo derisi non meno dai nemici, che, peggio ancora, dagli amici; saressimo preda ai beffardi che cercano trovar sempre il torto in chi è infelice. Un solo giorno in cui Venezia non fosse degna di sé, e tutto ciò che avesse fatto sarebbe dimenticato, sarebbe perduto.
Io ho dunque pregato la Milizia Cittadina, già affranta da tante fatiche, già percossa da tanti dolori, a raccogliersi qui intorno a me come in consiglio di amici e di famiglia. E la Guardia Civica prego e scongiuro, che in tal opera sua benefica, virtuosa e grande perseveri ancora, e ci metta, se possibil fosse, uno zelo ancora maggiore.
Chiederei che ogni classe di Cittadini, ascritta alla Guardia Civica, personalmente prestasse questo servigio, il quale non è solamente un servigio politico, ma ben anco di difesa della proprie famiglie; e sarebbe ingiusto che taluna appunto lasciasse ad altri la difesa delle proprie facoltà.
Il nome della Guardia Civ. di Venezia rimarrà onorato nella storia, e quali che siano le dicerie di taluni de’ nostri presenti, la storia dirà sempre: Viva la Guardia Civica di Venezia.
Alla Guardia Civica aggiungo, ch’essa non è un potere politico, ma tuttavia la Guardia Civica è il Popolo; la Guardia Civica è quella istessa che procurava e che proclamava il Governo del 22 marzo 1848. L’Assemblea dei Rappresentanti, ch’è un potere legalissimo, ha creduto di affidare un incarico di peso insopportabile a me, perché gli altri tutti l’hanno rifiutato. Ma se la Guardia Civica non avesse quella fiducia nella lealtà mia, del resto non parlo, quella fiducia ch’ebbe per molto tempo, non sarebbe possibile che nessuno continuasse a portare questo peso enorme, senza l’appoggio di questa guardia.
Allora l’Assemblea potrebbe legalmente ad altre mani affidare questo da me non desiderato, né desiderabile potere.
Dimando francamente alla Guardia Civica: ha fiducia nella mia lealtà?…
(La Guardia Civica e tutto il Popolo): «SI»
(Applausi generali).
Questo amore indomabile mi addolora, ma farà sentire più vivamente ancora, se possibil fosse, quanto questo popolo soffra. Nella mia mente, nelle forze mie fisiche, morali ed intellettuali calcolar non potete; ma sul mio affetto, grande, sviscerato, immortale, contate sempre. E checchè avvenisse dite: quest’uomo si è ingannato; ma non dite mai: quest’uomo ci ha ingannati.
(Tutti): «NO, MAI»
(Applausi generali).
Io non ho ingannato mai nessuno; non ho mai dato lusinghe che non avessi; non ho mai detto di sperare, quando io non isperava.
(Qui il Presidente dovette ritirarsi, oppresso dalla commozione.)


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